Cherreads

Ne voglio ancora

VittoriaBardi
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Synopsis
Bea, una giovane donna appena maggiorenne e appena diplomata, sposa il potentissimo Mark, un magnate d'affari cinico e ossessionato dal controllo. Mark l'ha scelta non per amore, ma come una fusione di affari. Olte a volere un figlio da lei Mark la considera una partner brillante e strategica che garantisce stabilità e intelligenza alla sua fondazione, la Markwell. Il loro matrimonio è privo di amore tradizionale da parte di Mark, ma è segnato da un'intesa segreta e una dinamica sessuale estrema basata sulla sottomissione volontaria di Bea, un gioco che funge da sfogo per il controllo assoluto di Mark. La loro fragile equazione viene distrutta durante una "punizione" di Mark per l'insubordinazione di Bea in ufficio, che supera il confine del gioco: un atto doloroso e violento, privo di consenso emotivo. Ferita e umiliata, Bea fugge, lasciando a Mark un messaggio in codice che spezza la loro intesa: "Non ne voglio ancora." La fuga costringe Mark, l'uomo del controllo, a confrontarsi con la sua vulnerabilità. Si rende conto che Bea non è la sua schiava, ma sua moglie, e che ha violato la loro fiducia. Per riconquistarla, Mark deve accettare le condizioni di Bea.
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Chapter 1 - Il contratto bianco

Beatrice si girò lentamente, l'abito da sposa un bozzolo di seta e tulle che non le apparteneva. Le mani della sarta erano state leste e professionali, i commenti della madre, ora fuori dalla suite, a dirigere la sinfonia del caos pre-matrimoniale, superflui e carichi di un'eccessiva, innaturale gioia. Aveva appena compiuto diciotto anni e tre mesi, un'età che per le sue coetanee significava patenti, università, feste sulla spiaggia. Per lei, significava la fine di ogni possibile primavera. Significava Mark.

Lo specchio a figura intera le restituiva l'immagine di una statua. Era bella, lo sapeva. I capelli castani sciolti in onde morbide, la pelle di porcellana che il trucco leggero esaltava. Era il suo ultimo giorno da Bea, la studentessa, la sognatrice di vite semplici. Domani sarebbe stata Beatrice Rossi-Markwell, un nome che suonava come un'ipoteca sul futuro.

Si avvicinò alla finestra della suite panoramica che affacciava sul lago di Como, luogo scelto dal futuro marito per la sua indubbia eleganza. Era una cornice da favola, ma Bea sentiva solo la griglia dorata della sua prigione. No, si corresse mentalmente. Non era una prigioniera. Era un investimento.

Tre mesi prima l'odore di cuoio e sigari nel vasto studio del padre «Beatrice, siediti. Dobbiamo parlare di cose serie.» La voce di suo padre, l'industriale Alessandro Rossi, era sempre stata un ordine, mai una richiesta. Bea, fresca di diploma e con la testa piena di messaggi scambiati con le amiche, si era seduta con il sospetto che si trattasse di un'estate in qualche noiosa clinica per imparare il galateo. «Il Gruppo Markwell sta per fondersi con il nostro. Un colosso che eliminerà ogni concorrenza. Markwell è un genio, un vero visionario. E vuole...» Suo padre si era sistemato gli occhiali, la voce improvvisamente più sommessa. «Vuole un legame di sangue, un vincolo che cementi questa operazione per sempre.» «Un vincolo? Vuole che diventi la sua segretaria personale?» aveva scherzato Bea. Suo padre l'aveva guardata con una serietà che le aveva gelato il sangue. «Vuole sposarti, Beatrice. La tua dote è la fusione patrimoniale e lui non vuole solo il capitale. Vuole l'immagine di una famiglia unita. Vuole una moglie giovane e irreprensibile, e tu sei perfetta. Non avrai restrizioni, Bea. Potrai fare quello che vuoi, andare dove vuoi, vivere nel lusso. Non sarai una prigioniera, ma la Signora Markwell.» «Ma io... io amo Paul!» aveva mormorato, la voce spezzata. «Paul è un cameriere nel ristorante di terza categoria di sua madre, Beatrice. Non è una vita. Questo è il dovere. Farai quello che devi per la famiglia.» Il tono di suo padre non ammetteva repliche. Era una sentenza. L'aveva liquidata con una carezza sulla testa, come si fa con un cane ben addestrato.

Una mano le toccò la spalla facendola tornare al presente. Era sua zia, con gli occhi lucidi e la bocca tremante per l'emozione. «Sei bellissima, tesoro. Sarai la sposa più invidiata d'Italia. Mark è un uomo d'oro.» D'oro e di ventidue anni più vecchio, pensò Bea con un groppo in gola. Un sarcofago di lusso.

Mentre si avviava verso l'uscita della suite, il suo cuore batteva un ritmo frenetico, misto a panico e a una strana, quasi masochistica curiosità. Sapeva tutto di Mark Markwell: l'impero finanziario, gli investimenti geniali, l'assenza di scandali, l'eleganza sobria. Ma non aveva mai, mai incrociato il suo sguardo.

L'auto la portò lungo il viale decorato con migliaia di rose bianche. La villa, storica e imponente, era stata trasformata per l'evento. Era un luogo di bellezza mozzafiato, ma per Bea era il patibolo.

L'attimo prima di varcare la soglia, suo padre le sussurrò all'orecchio: «Ricorda, Beatrice. La nostra intera vita è legata a questo momento. Sorridi.»

Lei sorrise. Era un sorriso che non le apparteneva.

Quando entrò, accompagnata da una musica solenne che rimbombava nel salone affrescato, tutti gli sguardi si posarono su di lei. Ma il suo cercò solo l'uomo in piedi davanti all'officiante civile, l'uomo che era diventato il suo destino.

Mark Markwell era un'opera d'arte. Non un uomo. Era alto, slanciato, e il completo blu notte era tagliato con una precisione scultorea. I suoi capelli erano di un biondo scuro impeccabile, gli zigomi affilati. Ma erano gli occhi a colpirla. Erano grigi come l'acciaio, profondi e penetranti, e la fissavano senza ombra di emozione. Non c'era amore, non c'era gioia, solo un'attenta, fredda valutazione. Era innegabilmente bello, di una bellezza che urlava potere e inaccessibilità, e quel contrasto con la sua repulsione per la situazione la fece vacillare. Era il diavolo in una veste sartoriale perfetta.

Mentre si avvicinava, la folla svanì. Riusciva a sentire il fruscio della seta sul pavimento di marmo e il battito martellante nelle sue tempie. Arrivata a destinazione, suo padre le prese la mano, un gesto di possesso prima che di affetto, e la passò a Mark.

L'impatto fu scioccante. La mano di Mark era calda, solida e non esitante. Non un brivido. La strinse con una presa formale, quasi professionale, come si stringe la mano a un socio in affari. Era la stretta di un contratto, non di un futuro marito. Mark non le sorrise. Le fece un impercettibile cenno del capo, un muto «Siamo qui» senza alcuna affabilità.

«Benvenuta, Beatrice,» sussurrò Mark. La sua voce era bassa, profonda e aveva una risonanza che non ammetteva repliche. Per un istante fugace, mentre incrociava quegli occhi di ghiaccio, Bea si chiese se dietro quella maschera di perfezione si nascondesse un uomo. E si chiese quanto tempo le ci sarebbe voluto per scoprirlo, se mai ci sarebbe riuscita. 

La cerimonia iniziò. Il destino di Beatrice era sigillato, non dal sentimento, ma dal suono metallico e finale di un cognome scambiato.